Ieri sera siamo andati al cinema (a un’improbabile proiezione pre-cena!) a vedere La grande scommessa, il film che promette di raccontare la crisi del 2008, tratto dall’inchiesta di Micheal Lewis.
Siamo usciti dalla sala più informati, più incazzati e più frustrati, ma non lasciatevi ingannare, il film è davvero bello!
Riesce a fare una cosa difficilissima che è quella di parlare di economia – la scienza triste – pur rimanendo un film avvincente e, a tratti, pure divertente.
Nel farlo non risparmia concetti complessi – che vengono puntualmente spiegati da personaggi più o meno famosi – scene di riunioni e incontri dai termini incomprensibili, rotture della quarta parete per ricordare allo spettatore che quello che sta vedendo è successo davvero, non è mica finzione.
Eppure tutto scorre liscio: si rimane incollati alla poltroncina, attenti e concentrati come ad una lezione, ma coinvolti ed emozionati come al cinema.
Non so se si meriti la palma di miglior film, ma di certo è un film da vedere e che dovrebbero vedere tutti, perché aiuta a capire un po’ di più quello che è successo intorno al 2008, i cui effetti sono visibili ancora oggi. Lo spiega con una sintesi bella e puntuale Giovanni De Mauro nell’editoriale di Internazionale di questa settimana (lo trovate anche in calce a questo post).
Vi avviso però che alla fine del film avrete con un vago senso di nausea, con l’idea che il “sistema” (non un sistema inventato ad hoc per raccontare una storia, proprio il nostro di sistema, quello attuale, in cui viviamo) sia volutamente complesso e colpevolmente fraudolento; lo si può combattere, ma non si vince. L’unica soluzione sembra uscirne, andando a coltivare il proprio orticello in qualche paese remoto. Senza risolvere il problema.
Difficile sintetizzare in poche righe The big short, in italiano La grande scommessa. Il film di Adam McKay, basato sull’inchiesta giornalistica di Michael Lewis, è appena uscito e racconta la crisi finanziaria cominciata nel 2008, quella che ha fatto perdere il posto a milioni di lavoratori, la casa a milioni di famiglie e ha provocato il collasso di diversi paesi europei.
“Si esce arrabbiati, nauseati e disperati”, ha scritto il New York Times. Perché non c’è lieto fine, come sappiamo, e non c’è nessun responsabile che paga per quello che è successo (“Daranno la colpa agli immigrati e ai poveri”, dice verso la fine uno dei protagonisti). The big short non offre neanche possibili soluzioni. Ogni tentativo di regolamentare il mercato è fallito, la commissione del congresso americano incaricata nel 2009 di esaminare le ragioni della crisi non è riuscita a introdurre nessun efficace meccanismo correttivo, come invece aveva fatto una commissione simile negli anni trenta, e oggi, secondo molti, tutto è ricominciato come se niente fosse.
L’economista Paul Krugman ha recensito con entusiasmo il film e lo ha difeso: chi attacca The big short, ha detto Krugman, ha paura che si sappia la verità. Perché è vero che chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo, ma alcuni il passato lo vogliono ripetere. E per questo non hanno interesse a farci ricordare cos’è successo.
Giovanni De Mauro – Internazionale 1136